domenica 31 agosto 2014

Unione Europea e Euro: due tool gesuitici per ridurre diritti e democrazia



E' veramente sorprendente come nell'era della comunicazione di massa le persone non riescano a capire cosa stia realmente avvenendo ed è sorprendente che anche molta dell'informazione alternativa non sia proprio così alternativa nelle sue analisi. E non vi nascondiamo certo che nemmeno noi riusciamo a capire tutti i dettagli di questo quadro criminale molto complesso. Una delle cose che però ci pare di aver capito è che nell'Europa gesuitica l'introduzione dell'euro ha avuto lo scopo di esacerbare i nazionalismi e i razzismi tra le nazioni europee; ed era quello che si voleva fare, dato che si vogliono demonizzare le nazioni per poi distruggerle. In questi anni non abbiamo fatto altro che ascoltare le più svariate accuse tra paesi europei, ad esempio tra Italia e Germania, che si incolpano a vicenda della crisi; oppure stupidi paragoni del tipo: quel paese è più virtuoso di questo, quel paese ce l'ha più “duro” di quest'altro; ma anche questa è la solita farsa gesuitica; mettere tutti contro tutti, in competizione gli uni contro gli altri; in questa guerra crediamo che la Germania abbia goduto di qualche deroga e di qualche vantaggio temporaneo, un fatto che ha contribuito a fomentare il razzismo intra europeo, ma la manna sembra essere finita anche per loro.


 I gesuiti e il Vaticano, naturalmente, hanno combinato questa Unione Europea, compreso il carcere della moneta unica, per fare in modo che i rapporti tra le nazioni si esacerbassero ed arrivassero ad un punto di rottura, per il fine ultimo di distruggere completamente le sovranità nazionali, accusate di non essere all'altezza della globalizzazione, e arrivare quindi all'Ordine Mondiale Gesuitico.



Il tutto portato avanti, naturalmente, senza che i Gesuiti e il Vaticano apparissero come i veri manovratori, ma fossero invece applauditi come i salvatori. Tutti i giorni il Drago Gesuitico ci ripete, infatti, che i “cattivi” stati nazionali devono intraprendere le cosiddette Riforme Strutturali, che non sono altro che Contro Riforme, in cui, alla fine, i popoli di tutte le nazioni non avranno più alcun potere democratico.

Queste riforme non sono altro che tagli al welfare, riduzione dei diritti dei lavoratori, precarietà, salari da fame, riduzione degli spazi democratici, ecc.; il tutto imposto come “L'UNICA VIA DA INTRAPRENDERE, CHE NON BISOGNA DISCUTERE” per arrivare ad una fantomatica prosperità futura; una prosperità che sarà inevitabilmente goduta dalle classi superiori, specialmente dal clero, come è stato nei secoli dei secoli; infatti è arduo per una persona pensante riuscire a comprendere come tagli alla sanità, all'istruzione, ai servizi sociali, alle pensioni, all'edilizia popolare, alle indennità di disoccupazione, ai diritti dei lavoratori, alle retribuzioni mensili, agli spazi democratici, conditi con l'incertezza della continuità lavorativa, che non consente nemmeno di costruirsi una famiglia, possano portare ad una prosperità futura le classi meno abbienti e l'intera società; insomma, oramai alle frasi controrivoluzionarie di Draghi possono credere solo i beoti post marxisti della nostra sinistra de La Repubblica che votano PD! D'altro canto chi adesso propone delle ingenue ricette anti austerità senza prendere in considerazione la riappropriazione della sovranità monetaria e l'uscita dal carcere della moneta unica, fa solo il gioco dei banchieri mondiali gesuitici, rimandando la resa dei conti finale, perché è stata proprio l'Europa, con la sua moneta antidemocratica, che ha aggravato la crisi, togliendo la sovranità monetaria ai singoli stati nazionali. Ma l'obbiettivo non era la prosperità dell'Europa, questo lo sappiamo; l'obiettivo è invece il nuovo medioevo di servi e di padroni.
Tutto questo era già stato affermato ad esempio nel noto lavoro della Commissione TrilateraleLa crisi della democrazia”, a firma di Samuel Huntington, un lavoro in cui le élite apparivano seriamente preoccupate a causa dell'eccesso di democrazia e benessere che si andava sviluppando nei cosiddetti paesi democratici, nei quali si andava diffondendo anche un elevato livello di istruzione. Infatti è certamente più facile controllare un paese oramai semifeudale e semianalfabeta come il nostro. Il Vaticano lo sa bene! In un paese semianalfabeta, ad esempio, sarà infatti difficile spiegare alcune ovvietà economiche, perché nessuno avrà studiato economia e nessuno sarà capace di far di conto. Ad esempio, tutte quelle parole difficili per spiegare che l'euro, avendo tolto di mezzo la nostra Lira, ha impedito di fatto che il nostro paese potesse continuare a svalutare la propria moneta nazionale, bloccando il tasso di cambio e creando perciò crisi nei conti esteri, e che tutto ciò ha danneggiato le nostre imprese e favorito (temporaneamente) i beni del nord. Tutti quei paroloni per dire che le manovre di Monti sono state introdotte anche per ripianare il debito estero italiano (da anni l'Italia spende per importazioni più di quello che incassa per esportazioni) e che per far ciò si è dovuto distruggere la domanda interna.



Oppure che esiste un Patto di Bilancio Europeo, firmato il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 stati membri dell'Unione europea, in seguito introdotto come principio costituzionale italiano, il quale impone all'Italia un sanguinoso pareggio di bilancio che deprime di fatto l'offerta di servizi sociali e blocca la spesa pubblica necessaria. Oppure che in base al patto di Stabilità a crescita le economie europee sono costrette a rispettare il criminale assunto che non è ammesso un deficit pubblico superiore al 3% del PIL (rapporto deficit/PIL < 3%) pena sanzioni (art.104 del Trattato CE). Oppure il fatto che non esiste più alcuna sovranità monetaria che possa arrivare in soccorso dei singoli stati nazionali in crisi, mentre tutto il potere è concentrato in organismi antidemocratici come la BCE. Tutte queste spiegazioni appaiono molto difficili per i più. E sappiamo che le persone prive di istruzione vivono per lo più di gossip e telenovele, come le avventure sessuali di Berlusconi.


Tutta questa austerità gesuitica ha lo scopo di distruggere la democrazia, i diritti, l'istruzione, il benessere, le peculiarità nazionali, e farci sprofondare in un nuovo medioevo teocratico dove una piccola minoranza di classi dominanti collegate al clero soggiogheranno la stragrande massa di cittadini poveri e ignoranti, i quali, per sopravvivere, non avranno altra scelta che l'elemosina stracciona della Caritas. Il sistema bancario è uno strumento fondamentale di questa guerra in corso, mentre la propaganda giornalistica mainstream copre i principali criminali, sviando la comprensione dei fatti. Le analisi più critiche sulle politiche economiche e monetarie vengono relegate a qualche siparietto che pochi avranno la voglia di seguire ed approfondire. Come, ad esempio, il seguente articolo, dal titolo “Pareggio di bilancio e austerità: l'Italia è in surplus primario dal 1992! che ci fa capire che tutta la questione del “problema” della nostra spesa pubblica non è altro che propaganda delle classi dominanti per ridurre i diritti dei loro sudditi. Infatti leggerete che, se non fosse per gli interessi sul debito che lo stato italiano ha dovuto pagare al sistema mafioso bancario, il nostro bilancio risulterebbe in attivo dal 1992:




Pareggio di bilancio e austerità: l'Italia è in surplus primario dal 1992!

FOREXINFO.IT- MARTEDÌ 26 AGOSTO 2014 10.56 GMT
Durante il Governo “tecnico” di Mario Monti, con legge costituzionale 20 aprile 2012 n°1, è stato introdotto un nuovo testo dell'articolo 81 Cost. con il quale si prevede, a decorrere dall'esercizio finanziario dell'anno 2014, sia applicato il principio del pareggio di bilancio. Questo - senza perderci in ulteriori dettagli e molto sommariamente - non vuol dir altro che lo Stato deve tassare tanto quanto spende (pareggio), oppure di più (surplus); e questa condizione può essere semplicemente descritta come: G – T ≤ 0, oppure G ≤ T (dove ovviamente G è la spesa governativa e T le tasse). Di pari passo con l'introduzione del principio del pareggio di bilancio è stato sempre sostenuto che l'Italia avesse una spesa pubblica troppo elevata che non le permetteva di raggiungere questo obiettivo e, pertanto, la spesa pubblica stessa sarebbe dovuta essere tagliata affinché fosse possibile soddisfare i vincoli stabiliti nel nuovo testo costituzionale dell'art.81. Infine, a questa disciplina di bilancio che prevede uno Stato in pareggio o addirittura in surplus è stata fatta "passare" come austerità! Alcuni sono perfino riusciti a chiamarla austerità espansiva.
Ora, sembra necessario prima fare un minimo di chiarezza sul termine di “spesa pubblica” in ragione del fatto che troppo spesso si è teso volutamente a confondere la spesa d'esercizio, quella per gli interessi sul debito, con quella che è la spesa pubblica propriamente detta. La spesa pubblica propriamente detta è la spesa dello Stato per beni e servizi, ed in tutti i manuali di macroeconomia e non solo, per definizione, è calcolata al netto degli interessi sul debito. Da qui risulta quello che viene chiamato “saldo primario”. Gli interessi sul debito sono spesa di esercizio che con la spesa pubblica rientrano nel bilancio generale dello Stato, ma la spesa per interessi non è spesa pubblica propriamente detta. Quindi, bisognerebbe fare attenzione quando si parla di spesa pubblica, perché dire che “bisogna tagliare la spesa pubblica” può voler significare che sia ulteriormente necessario tagliare beni e servizi (già non proprio brillantissimi e pagati dai cittadini a caro prezzo). Ma questo non è quello che interessa principalmente ora. Detto che la spesa pubblica è calcolata al netto degli interessi sul debito e che l'austerità prevede il pareggio di bilancio cerchiamo di valutare il bilancio dell'Italia a partire dagli anni '90 proprio per quello che riguarda la sola spesa pubblica primaria, non quella generale; cioè la spesa per beni e servizi al netto degli interessi sul debito.
Secondo lo Statistical Data Warehouse della BCE nel 1990 l'Italia ha avuto un deficit primario di -1,353% del PIL. Nel 1991 eravamo già molto vicini al pareggio visto che si registrava un deficit minimo a -0,039% del PIL, mentre nel '92 raggiungevamo il surplus primario a +1,848% del PIL. Dal '92 il surplus primario italiano si “consolida” ed al '97 è a ben 6,514% del PIL. Negli anni seguenti si ha una lieve flessione, ma nel 2000 il saldo primario dell'Italia è ancora al 5,422%, sempre del PIL. Di poi, per tutto il primo decennio del terzo millennio i surplus di bilancio si restringono e nel 2009 abbiamo un deficit a -0.825% - qui i dati sono parzialmente differenti da altre fonti che danno un deficit primario di -0,6% nel 2009 e -0,1% nel 2010 - subito tornato surplus nel 2010 a 0,079% del PIL e che cresce negli anni successivi fin al 2,224% del 2013. Pertanto, vediamo che dal 1990 ad oggi, in 24 anni, l'Italia solo in tre anni ha registrato dei deficit primari, mentre per 21 anni la condizione del pareggio di bilancio è stata soddisfatta, per alcuni anni anche ampiamente si potrebbe dire.
Infine, ancora una volta, prendiamo, proprio per avere un termine di paragone, come riferimento quelle che vengono ritenute le due economie “core” della zona Euro ed il Regno Unito. Vediamo, perciò, il saldo primario dell'Italia in relazione a quello di Germania, Francia e Regno Unito dal 1995 al 2012.


Si può notare come l'Italia dal 1995 al 2005 abbia saldi primari migliori di Francia e Germania e anche per la maggior parte del Regno Unito; dopo il 2005 il saldo primario dell'Italia è più o meno simile - leggermente migliore - a quello della Germania, mentre quelli di Francia e Regno Unito peggiorano notevolmente, soprattutto il secondo. Vi facciamo notare, senza ulteriori considerazioni che qui non interessano, che il Regno Unito, con il peggior saldo primario al 2012, è il paese, tra quelli presi in considerazione nel grafico, che nel 2014 stima la maggior crescita percentuale del PIL.
Quindi per quello che riguarda la spesa pubblica primaria, cioè la spesa dello Stato al netto degli interessi sul debito, che è poi la spesa che si vorrebbe tagliare, l'Italia, come dai dati sopra riportati, è stata ben poche volte in deficit dall'inizio degli anni '90, cioè solo in tre anni (1991-1992-2009); e dal 1995 al 2012, come riportato nel grafico ha avuto per svariati anni un saldo primario migliore rispetto a Francia, Germania e Regno Unito. Pertanto, anche al lordo della variabile “spreco” la spesa pubblica non può aver contribuito a far salire il debito pubblico per un semplice motivo: lo Stato ha sempre preso in tasse più di quanto ha speso, mentre l'aumento del debito pubblico è dovuto, principalmente, al pagamento degli interessi sul debito. Nonostante tutto, quindi, gli sprechi che ci sono, sono tanti e vanno corretti, non hanno fatto salire il debito, perché sono stati pagati dalle tasse degli italiani e non sono “sfociati” in un deficit primario che abbia comportato l'emissione di debito; bensì hanno impedito, tramite il loro mancato taglio o, molto meglio, la marginalità di un impiego di spesa “remunerativo” che il debito stesso scendesse.
Per cui, da ultimo, se consideriamo l'austerità come la necessità di soddisfare il vincolo del pareggio di bilancio, nel quale uno Stato deve spendere meno di quanto “incassa” e consideriamo la sola spesa pubblica propriamente detta e/o spesa primaria, l'Italia sta facendo austerità dal 1992, visto che è dal 1992 che - salvo un deficit minimo nel 2009 - la spesa primaria dello Stato è inferiore a quanto lo stesso tassa; per cui è da svariati anni antecedenti a quello in cui si è voluto introdurre il pareggio di bilancio in Costituzione, 2012, che lo stesso pareggio di bilancio è già una realtà: circa una ventina! E come mai si è voluto introdurre solo nel 2012 e proprio in Costituzione?! Era necessario visto che comunque erano diversi anni che veniva già rispettato?! E, ancora, se facciamo il confronto con quelli che per anni sono stati additati come Stati virtuosi da prendere come riferimento, notiamo che non è proprio così; e che se valutiamo, ancora, la spesa pubblica propriamente detta, l'Italia è il paese che ha avuto per molto tempo, dagli anni '90, il miglior saldo primario, cioè quella che ha fatto più “austerità”, perché è quella che ha speso meno per beni e servizi ai suoi cittadini in relazione alle proprie entrate derivanti dalle tasse agli stessi. Nonostante questo, ancora una volta, il problema diventa la spesa pubblica; ed ancora una volta la soluzione non è che il taglio di quello che viene falsamente ritenuto il problema. Dopo un periodo così lungo in cui lo Stato ha avuto dei surplus primari, nel corso della crisi che rischia di venir probabilmente ricordata come la Grande Recessione, forse, invece che imporsi ulteriori limiti di bilancio, sarebbe stato meglio cominciare a invertire la tendenza e spendere - anche al netto degli interessi - più di quanto si tassasse, per aiutare un settore privato in difficoltà immettendo ricchezza piuttosto che continuare a toglierne. Invece si è fatto il contrario, si sono imposti ulteriori vincoli di bilancio che hanno costretto lo Stato ad aumentare la pressione fiscale e diminuire la spesa in modo da drenare ulteriormente risorse da un settore privato in profonda crisi e dal quale lo Stato già da anni “toglieva più di quanto metteva”.
In conclusione, questo continuo ed inopinato richiamo alla spesa pubblica, che ne fa un “calderone” unico con la spesa per interessi, al fine di poter sostenere che “lo Stato spende troppo” ed è necessario “tagliare”, sembra il solito “gioco delle tre carte”, fatto per distrarre il cittadino, il lettore, ma soprattutto l'elettore meno attento, per farlo prescindere dalla valutazione dei numeri quali sono da intendersi realmente e portarlo fuori da una visione d'insieme della situazione economica, con il solo fine di confonderlo; ed utilizza, a questo fine, definizioni, discorsi e “parametri economici” di comodo, presi singolarmente invece che con una visione d'insieme, per individuare sia i problemi che la soluzioni; che sono poi le sempre gli stessi problemi (lo Stato ”cicala”) e le stesse soluzioni (tagliare, tagliare, tagliare … la spesa pubblica) indipendentemente dalla collocazione politica dei governi che si succedono e dal lignaggio culturale di appartenenza dei loro tecnici, economisti o politici.
Articolo pubblicato su Forexinfo.it da Luca Pezzotta