giovedì 16 maggio 2013

Operazione Odessa: la Fuga dei Nazisti con l'aiuto del Vaticano

Qui di seguito trovate del materiale di studio riguardo all'aiuto concesso dal Vaticano ai criminali nazisti in fuga dopo la seconda guerra mondiale.



Dal sito Garzanti Libri



Goñi Uki Operazione Odessa

Collezione Storica
Traduzione di Sergio Minucci.
480 pagine
ISBN 881169405-1



«Un'analisi impressionante e convincente». («The Times Literary Supplement»)

«Uno straordinario esempio di giornalismo investigativo. Un importante passo avanti nella ricerca storica… Goñi rivela con precisione chirurgica le complicità del Vaticano e delle gerarchie ecclesiastiche argentine nel proteggere migliaia di fascisti croati ricercati per genocidio. Dimostra anche che le autorità svizzere hanno collaborato con un ufficio segreto aperto dagli agenti segreti di Perón a Zurigo per far fuggire i nazisti dalla Germania». («Time»)

«Una ricostruzione notevole, anche se è un boccone amaro… L'unico punto luminoso è Goñi, che ha avuto il coraggio di mettere a nudo alcune squallide verità sul suo paese. Mentre racconta uno degli episodi più criminali della storia dell'Europa (e dell'America Latina), spicca l'onestà della sua ricostruzione storica». («The Sunday Telegraph»)

«Dopo 50 anni, Goñi è riuscito a mettere a nudo inganni e connivenze, ed è riuscito a rompere quello che chiama "il muro del silenzio"». («The Sunday Times»)

Dopo la sconfitta di Hitler, numerosi gerarchi nazisti trovarono rifugio in Argentina: criminali di guerra come Eichmann, Barbie e Mengele, passati per Genova tra il 1949 e il 1951, ma anche Friedrich Rauch, l'ufficiale che aveva svuotato per conto del Fuhrer la Banca centrale tedesca. Lungo «la rotta dei topi» fuggirono anche ustascia croati, collaborazionisti belgi e filo-nazisti francesi. A organizzare la fuga era la misteriosa ed efficiente Organisation der ehemaligen SS-Angehöringen, nome in codice Odessa.


In molti hanno cercato i segreti di Odessa, ma mancavano ancora diversi tasselli importanti. Per la prima volta, dopo una serie di indagini in Sud America e utilizzando materiali inediti dei servizi segreti americani ed europei, ma anche attraverso una serie di interviste, Uki Goñi ricostruisce l'intera filiera, con una serie di rivelazioni che riguardano gli accordi tra il governo del presidente argentino Juan Carlo Perón e la chiesa cattolica argentina, le complicità delle autorità elvetiche, le basi italiane, le azioni degli agenti segreti di Himmler a Buenos Aires e in Europa, il trasferimento del tesoro di stato della Croazia (frutto della spogliazione di 600.000 ebrei e serbi) in Argentina.


Con il piglio del grande giornalista e l'attenzione dello storico, Uki Goñi porta alla luce molti segreti inconfessati e inconfessabili: il suo libro ha rotto il muro del silenzio costruito intorno a una delle pagine più oscure e controverse della storia recente.



Lo storico UKI GOÑI ricostruisce l'operazione Odessa di fuga dei gerarchi nazisti



LA FUGA DEI CRIMINALI NAZISTI VERSO L’ARGENTINA DI PERÓN: UNA METICOLOSA E DOCUMENTATA RICOSTRUZIONE DELLO STORICO UKI GOÑI
OPERAZIONE ODESSA


Lo chiamavano il «Mengele danese», Carl Vaernet era un medico delle SS che sosteneva di aver scoperto una «cura» per l’omosessualità; nel 1944 Himmler mise a disposizione delle sue folli ricerche la popolazione del «triangolo rosa», gli omosessuali internati a Buchenwald.
I malcapitati furono castrati e gli fu impiantato un «glande sessuale artificiale», un tubo metallico che rilasciava testosterone nell’inguine. Secondo i racconti dei sopravvissuti, i medici delle SS a Buchenwald raccontavano barzellette raccapriccianti su quel tipo di esperimenti. Vaernet era un pazzo sadico; inserito nella lista dei criminali di guerra, alla fine del conflitto riuscì a scappare sano e salvo in Argentina. E come lui migliaia di aguzzini nazisti tedeschi, fascisti italiani, ustascia croati, rexisti belgi, collaborazionisti francesi ecc.; tutti se la cavarono grazie a una rete di complicità mostruosamente efficiente e all’aperta connivenza del governo di Juan Domingo Perón. Un romanzo (Dossier Odessa) di Frederick Forsyth, raccontava di un gruppo di membri delle SS che dopo la sconfitta si erano raccolti in un’organizzazione segreta (Odessa, acronimo di Organisation der Hemallgen SS-Angehorigen) che aveva il duplice scopo di salvare i commilitoni dalle forche degli Alleati e creare un Quarto Reich che completasse l’opera di Hitler. Per quanto romanzesca fosse la trama «inventata» da Forsyth, il suo racconto si avvicinava in modo inquietante alla realtà. Odessa esisteva davvero. Solo era difficilissimo ricostruirne la storia: i fascicoli del suo archivio erano stati distrutti in gran parte nel 1955, nel marasma degli ultimi giorni del governo di Perón; quelli che rimasero furono definitivamente buttati via nel 1996. Ma le tracce della sua attività erano troppo evidenti per essere cancellate del tutto. Così ora, finalmente, grazie alla pazienza e all’abilità dello storico e giornalista argentino Uki Goñi (Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l’Argentina di Perón, Garzanti, pp. 480, e 24) e lunghe ricerche in Belgio, Svizzera, Londra, Stati Uniti, Argentina, disponiamo di una storia completa della più incredibile operazione di salvataggio di migliaia di criminali mai progettata e mai realizzata in tutto il Novecento. 

Uki Goñi
Diciamolo subito. Se l’Argentina di Perón era la «terra promessa», l’asilo già generosamente predisposto ancor prima che la guerra finisse, il cuore e il cervello dell’intera operazione Odessa era a Roma (dove Perón soggiornò dal 1939 al 1941), nel cuore del Vaticano. In quel turbinoso dopoguerra italiano era veramente difficile distinguere tra vincitori e vinti. Nazisti e fascisti avevano perso la guerra; eppure mai ai vinti mancò il soccorso dei vincitori, il sostegno di quelle istituzioni che sarebbero dovute nascere all’insegna dell’antifascismo e della democrazia e che invece erano ricostruite nel segno della più rigorosa continuità con i vecchi apparati del regime fascista. Fu l’anticomunismo, furono le prime avvisaglie della «guerra fredda» a spingere i vincitori a salvare i vinti. Il Vaticano fu il motore di questa scelta. Ma veramente monsignor Montini fu il protagonista di questo intervento che garantì l’incolumità a criminali come Erich Priebke, Josef Mengele, Adolf Eichmann ecc.? E veramente il Vaticano fu il crocevia di tutta una serie di iniziative che puntavano a rimettere in piedi il movimento ustascia di Ante Pavelic per organizzare una guerriglia anticomunista contro la Jugoslavia di Tito? Sì, veramente. Già nel 1947 i servizi segreti americani avevano stabilito che «una disamina dei registri di Ginevra inerenti tutti i passaporti concessi dalla Croce Rossa internazionale rivelerebbe fatti sorprendenti e incredibili». Oggi la disamina di quei registri è possibile e Goñi l’ha fatta. E le sue conclusioni sono nette: la Chiesa cattolica non fu solo un complice dell’«operazione Odessa» ma la sua protagonista indiscussa: oltre a monsignor Montini i suoi vertici furono i cardinali Eugène Tisserant e Antonio Caggiano (quest’ultimo, argentino, nel 1960 espresse pubblicamente - «bisogna perdonarlo» - il suo rincrescimento per la cattura di Eichmann da parte degli israeliani), mentre la dimensione operativa fu curata da una pattuglia di alti prelati, il futuro cardinale genovese Siri, il vescovo austriaco Alois Hudal, parroco della chiesa di Santa Maria dell’Anima in via della Pace a Roma e guida spirituale della comunità tedesca in Italia, il sacerdote croato Krunoslav Draganovic, il vescovo argentino Augustín Barrère. I documenti citati da Goñi sono molti e molto convincenti, da una lettera del 31 agosto 1946 del vescovo Hudal a Perón che chiedeva di consentire l’ingresso in Argentina a «5 mila combattenti anticomunisti» (la richiesta numericamente più imponente emersa dagli archivi) all’intervento di Montini per esprimere all’ambasciatore argentino presso la Santa Sede l’interesse di Pio XII all’emigrazione «non solo di italiani» (giugno 1946). Non si tratta di iniziative estemporanee e certamente la loro rilevanza storiografica non può esaurirsi in una lettura puramente «spionistica». Un versante della seconda guerra mondiale trascurato dagli storici è quello che vede gli Stati latini, cattolici e neutrali, europei e sudamericani, protagonisti di vicende diplomatiche segnate però da un particolare contesto culturale e ideologico: nella cattolicissima Argentina (la Vergine Maria fu nominata generale dell’esercito nel 1943, dopo il golpe dei militari) ci si cullò nell’illusione di poter formare insieme con la Spagna e il Vaticano una sorta di «triangolo della pace», per preservare «i valori spirituali della civiltà» fino a quando la guerra in Europa continuava. Un progetto più ambizioso puntava a unire, con la leadership del Vaticano, i paesi dell’Europa cattolica, Ungheria, Romania, Slovenia, Italia, Spagna, Portogallo e Francia di Vichy per integrarli nel «nuovo ordine europeo» voluto dai nazisti; in quel periodo (1942-1943), in Sud America governi filonazisti esistevano già in Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay: il disegno era di conquistare a un’alleanza in chiave antiamericana anche il piccolo e democratico Uruguay e il grande e cattolico Brasile. Questi disegni naufragarono tutti sotto il peso delle rovinose sconfitte militari dell’Asse ma furono l’humus ideologica da cui nacque nel dopoguerra la rete di «Odessa». La centrale italiana operò soprattutto per il salvataggio degli ustascia di Ante Pavelic. Alla fine della guerra ce n’erano migliaia, sparsi nei vari campi a Jesi, Fermo, Eboli, Salerno, Trani, Barletta, Riccione, Rimini ecc. Una poderosa ricerca ora avviata dal giovane storico Costantino Di Sante sta facendo luce su una delle pagine più oscure di quel periodo. Si trattava di criminali macchiatisi di delitti che avevano suscitato orrore perfino nei loro alleati nazisti (che biasimarono «gli istinti animaleschi» dei croati): fucilazioni di massa, bastonature a morte, decapitazioni, per conseguire il risultato di uno Stato (la Croazia) razzialmente puro e cattolico al 100%. Alla fine della guerra circa 700 mila persone erano morte nei campi di sterminio ustascia a Jasenovac e altrove: le vittime appartenevano soprattutto alla popolazione serba ortodossa ma nell’elenco figuravano anche moltissimi ebrei e zingari. Il principale teorico del regime croato, Ivo Gubernina, era un sacerdote cattolico romano che coniugava le nozioni di «purificazione» religiosa e «igiene razziale» con un appello affinché la Croazia «fosse ripulita da elementi estranei». Gran parte di questi criminali si salvò passando da Roma verso l’Argentina: la via di fuga portava a San Girolamo, un monastero croato sito in via Tomacelli 132. Parlando del loro capo, Ante Pavelic, un rapporto dei servizi segreti americani concludeva: «Oggi, agli occhi del Vaticano, Pavelic è un cattolico militante, un uomo che ha sbagliato, ma che ha sbagliato lottando per il cattolicesimo. È per questo motivo che il Soggetto gode ora della protezione del Vaticano». Alla fine, tra il 1947 e il 1951, secondo i dati raccolti da Di Sante, furono 13 mila gli ustascia che riuscirono a salvarsi usando il canale italoargentino.


La Stampa, 3-11-2003







Il medico del lager di Auschwitz partì per il Sudamerica da Genova



L'Argentina apre gli archivi sulla fuga dei nazisti



La decisione di Kirchner su richiesta del Centro Wiesenthal. Trovate la scheda di Mengele e carte sui criminali ustascia

MILANO - La fuga in Sudamerica Josef Mengele comincia a prepararla nell’aprile 1948: il Terzo Reich è caduto e per il medico del campo di sterminio di Auschwitz l’Europa tornata alla democrazia non è più un luogo sicuro. Dopo i primi tempi di clandestinità, il dottore dei Lager si decide a lasciare il vecchio continente. E si procura ciò che gli serve. Un nuovo nome: diventa l’altoatesino Helmut Gregor. Un nuovo documento: carta d’identità numero 114 con il timbro del comune di Termeno, Bolzano. Un aiuto per imbarcarsi destinazione Buenos Aires: glielo darà l’ufficio di Genova della Delegazione argentina di Immigrazione in Europa. Uno dei punti d’appoggio della rete creata dal presidente Juan Domingo Perón per accogliere sulle rive del Río de la Plata migliaia di criminali di guerra.

PARTENZA DALL'ITALIA - Il 25 maggio 1949 il dottor Mengele sale a Genova sulla «North King», il 22 giugno 1949 è al sicuro, dall’altra parte dell’Oceano. Di questo arrivo oggi esiste una nuova testimonianza: una scheda di immigrazione a nome Helmut Gregor conservata negli archivi argentini e riemersa tra polvere e armadi sigillati grazie a un ordine del ministro degli Interni di Buenos Aires, Anibal Fernández. A impegnarsi per l’apertura dei registri che quasi sessant’anni fa annotarono l’ingresso di Adolf Eichmann, Klaus Barbie, Martin Bormann, Erich Priebke e altre migliaia di nazisti più o meno noti in Argentina è stato il presidente Néstor Kirchner. Una promessa fatta al Centro Simon Wiesenthal (insieme all’assicurazione che il governo si occuperà anche dell’estradizione dell’italiano Bruno Caneva, 91 anni, accusato dell’eccidio di 82 partigiani a Pedescale). Di qui, l’ordine di Fernández alla Direzione nazionale delle migrazioni (che dipende dal ministero degli Interni) e la scoperta dei nuovi documenti, con un lunghissimo elenco di nomi tedeschi, croati, austriaci, belgi, francesi e anche molti italiani.


SCOOP - Tutti nuovi tasselli da inserire in una storia che in Argentina ha in gran parte ricostruito il giornalista Uki Goñi (è stato proprio il suo La auténtica Odessa , pubblicato nel dicembre 2002, a spingere il centro Simon Wiesenthal a chiedere l’apertura degli archivi). Nel libro Goñi racconta di alcune riunioni alla Casa Rosada - in particolare ce n’è una ben documentata del dicembre ’47 - tra Perón e nazisti tedeschi, francesi e belgi per la creazione di una rete di assistenza ai criminali in fuga, con basi in sei Paesi europei tra cui l’Italia. L’organizzazione poteva contare sul sostegno di alcuni settori della Chiesa cattolica.

PERCHE' L'ARGENTINA - Ma perché questo impegno del presidente argentino? Goñi lo spiega in un’intervista al quotidiano Página 12 : «Perón faceva un favore ai nazisti che portava in Argentina. Faceva un piacere a se stesso, nell’idea che questa gente avrebbe potuto essergli utile come agenti anticomunisti. Faceva un favore agli Alleati eliminando i collaborazionisti che non potevano portare davanti alla giustizia. Infine rendeva un servizio alla Chiesa. Uno dei documenti che ho trovato mostrano che il cardinale argentino Caggiano andò in Vaticano nel ’46 offrendo a nome del governo di Buenos Aires il proprio Paese come rifugio ai criminali di guerra francesi nascosti a Roma».


LA «CIRCOLARE 11» - Al tempo stesso in Argentina continuava ad essere applicata la «Circolare 11» del ’38 - precedente all’arrivo al potere di Perón - che indicava alle ambasciate di Buenos Aires in Europa di negare i visti agli ebrei che tentavano di sfuggire alla repressione nazista. Numerose testimonianze riferiscono che i sopravvissuti che provarono a lasciare l’Europa anche dopo la caduta del regime di Hitler incontrarono molte resistenze, e furono costretti a pagare quote anche alte per rendere benevoli i funzionari dei consolati. Negli archivi della Direzione migrazioni molti documenti sono stati bruciati, anche in anni recenti. Ma ne restano molti altri di grande interesse. Página 12 ha pubblicato alcune anticipazioni. La scheda di Mengele, innanzitutto. Ma anche un voluminoso dossier che testimonia l’ingresso in Argentina di 7.250 croati, fra cui i peggiori criminali di guerra nazisti dell’epoca.


«PROFUGHI CROATI» - L’operazione di espatrio comincia con una lettera a Perón di due frati francescani che chiedono al presidente di farsi carico della sorte di 30 mila «profughi croati» in Italia e Austria, e di accoglierli come lavoratori nelle proprie terre.
Firma in calce del cardinale Copello, primate della Chiesa argentina. I documenti per arrivare in Sudamerica saranno in molti casi passaporti della Croce Rossa emessi dal Vaticano. I nomi degli aspiranti contadini sono del calibro di Ivo Heinrich, consigliere finanziario del leader ustascia Ante Pavelic; Friedrich Rauch, che portò via per ordine di Hitler l’oro della banca centrale di Berlino; e Eugen Kvaternik che riuscì a scandalizzare lo stesso Himmler proponendo ai nazisti lo sterminio di due milioni di serbi.


Alessandra Coppola

29 luglio 2003






Le complicità della chiesa genovese nella fuga dei criminali di guerra

da ADISTA, Agenzia d'informazione sul mondo cattolico e le realtà religiose


N°65 del 20 settembre 2003

Aiuto, sostegno logistico, documenti falsi. La Curia genovese, terminale periferico di un sostegno ecclesiastico che partiva direttamente da Roma, spianò ai criminali di guerra nazisti, ustascia e fascisti la strada verso la libertà. Chi avrebbe dovuto contribuire alla loro cattura, favorì invece la loro impunità: la denuncia viene dal quotidiano genovese "Il secolo XIX", che in una lunga inchiesta, partita il 31 luglio e durata più di un mese, ricostruisce l'intricata vicenda di quella che è stata definita la "ratline", la "via dei topi" organizzata in Europa nel dopoguerra per consentire la fuga, prevalentemente in Argentina ed in altri Paesi latinoamericani, di criminali di guerra ricercati.

L'antefatto

L'inchiesta del "Secolo XIX" prende avvio dalle notizie contenute nei documenti degli archivi della Direzione nazionale delle migrazioni, in Argentina, resi pubblici lo scorso luglio per decisione del presidente Néstor Kirchner. Con questa decisione, Kirchner aveva dato seguito ad un impegno preciso preso con il Centro Simon Wiesenthal, specializzato nella ricerca dei criminali di guerra, che voleva chiarezza in merito alle precise denunce delle collusioni tra governo argentino e reduci del Reich contenute in un libro, intitolato "La auténtica Odessa", pubblicato dal giornalista Uki Goñi nel dicembre 2002. Lo scrittore aveva passato un anno negli archivi dell'Hotel de Inmigrantes, un vecchio albergo che custodisce i fascicoli del Centro di Immigrazione di Buenos Aires, cercando le tracce del passaggio di alcuni immigrati "eccellenti" in Argentina nel dopoguerra. Rovistando tra centinaia di migliaia di cartoline di sbarco aveva trovato anche quelle relative a molti gerarchi nazisti, fascisti e ustascia, rintracciando i numeri dei relativi dossier custoditi nell'archivio riservato dell'hotel. Il quotidiano argentino "Página 12" nei mesi scorsi ha seguito con interesse le rivelazioni del libro di Goñi, rilanciandole e facendole divenire un caso nazionale: per tutte queste ragioni, a luglio, i dossier sono stati messi a disposizione degli studiosi, anche se, per ora, secondo quanto scrive "Panorama" del 29 agosto, sono saltati fuori solo due dei 49 fascicoli richiesti dal centro Wiesenthal, contenenti informazioni su appena 17 dei 68 criminali di guerra segnalati.



Le complicità della Chiesa nella "ratline"

In una intervista rilasciata a "Página 12" e ripresa il 29 luglio dal "Corriere della Sera", Goñi racconta i motivi che spinsero l'allora presidente argentino Juan Domingo Perón a stringere un legame coi nazisti: "Perón faceva un favore ai nazisti che portava in Argentina. Faceva un piacere a se stesso, nell'idea che questa gente avrebbe potuto essergli utile come agenti anticomunisti. Faceva un favore agli Alleati eliminando i collaborazionisti che non avrebbero potuto portare davanti alla giustizia. Infine rendeva un servizio alla Chiesa. Uno dei documenti che ho trovato mostrano che il cardinale argentino Caggiano andò in Vaticano nel '46 offrendo a nome del governo di Buenos Aires il proprio Paese come rifugio ai criminali di guerra francesi nascosti a Roma".


Insomma, Peron collaborò a creare una sorta di rete internazionale che doveva favorire l'ingresso di criminali di guerra nel proprio Paese. Con il sostegno anche di una parte delle gerarchie ecclesiastiche.
A Buenos Aires agivano i cardinali Antonio Caggiano e Santiago Copello. Dalla seconda metà del 1947 ai primi anni Cinquanta il terminale europeo della "rotta dei topi" fu a Genova in via Albaro, al numero 38 presso Villa Bombrini, ora sede del Conservatorio e all'epoca sede della Daie, Dirección Argentina de Immigración Europea. L'ufficio era retto da un ex capitano delle Ss, Carlos Fuldner, amico di Peron.


"Era l'ufficio della Daie in Genova - spiega Uki Goñi - che si occupava di far pervenire a Buenos Aires l'elenco dei criminali nazisti da mettere in salvo. A Buenos Aires la pratica veniva evasa dalla Sociedad Argentina de Recepción de Europeos fondata nel maggio del '47 da Pierre Daye, un criminale di guerra belga in stretti rapporti con Peron e con l'arcivescovado argentino. Tanto stretti che le prime riunioni della Sociedad si tennero alla Casa Rosada e che la prima sede della Sare si trovava in via Canning 1358, un vecchio palazzone di proprietà della curia di Buenos Aires".


Fuldner redigeva a via Albaro gli elenchi dei nazisti da far fuggire, li spediva in Argentina e da lì, in poche settimane, giungevano i visti di ingresso, completi delle foto dei criminali ma intestate a nomi fittizi. Da Genova, la pratica passava a Roma, dove la Sede della Croce Rossa rilasciava i passaporti relativi ai nomi falsi, rispedendoli a Genova. Fatto ciò, bastava trovare posto per i fuggitivi sulla prima nave che salpasse per l'Argentina. È ormai certo che, in quegli anni, passarono per Genova, e di lì fuggirono in Sudamerica, criminali del calibro di Klaus Barbie ("il boia di Lione"), Adolf Eichmann (il pianificatore dello sterminio degli ebrei, rapito dal Mossad nel '61 e impiccato in Israele l'anno dopo), Josef Mengele (il "dottor morte"), Erich Priebke, il dittatore croato Ante Pavelic.


Il ruolo della Curia genovese


Goñi sostiene il diretto coinvolgimento del card. Giuseppe Siri (eletto vescovo ausiliare di Genova l'11 marzo 1944, e arcivescovo della stessa città il 14 maggio 1946) nel sostegno alla rete di fuga per i criminali di guerra, tramite le due associazioni, entrambe da lui fondate, che la Curia genovese possedeva per l'assistenza dei profughi [una tesi contenuta già nelle risultanze della Ceana (Comisión para el Esclarecimiento de las Actividades del Nazismo en la Argentina, costituita da Menem nel '97) e raccontata nel libro "La via dei demoni", del giornalista di "Repubblica" Giovanni Maria Pace]. Una di queste associazioni si chiamava Auxilium ed era nata nel '31, come ente di assistenza e beneficenza.
 
Giuseppe Siri
 La seconda, chiamata "Comitato Nazionale Emigrazione in Argentina", nacque invece nel '46. Racconta Goñi nel suo libro che il nome di Siri comparirebbe negli archivi del Nara (National Archives and Records Administration) del Maryland, Stati Uniti. In una nota del Central Intelligence Group (Cig, creata da Truman nel '46 e sostituita alla fine del '47 dalla Cia), datata 21 gennaio 1947 e recuperata da Goñi nel corso delle ricerche per il suo libro, si afferma che Siri dirigeva "una organizzazione internazionale il cui scopo era favorire l'emigrazione di europei anticomunisti in Sudamerica (...). Questa classificazione di anticomunista deve estendersi a tutte le persone politicamente impegnati contro i comunisti, ovvero fascisti, ustascia, e altri gruppi simili".


Operativamente sarebbero stati tre sacerdoti ad impegnarsi in prima persona per preparare la fuga dei criminali. Uno era un prete croato, Karl Petranovic: dai primi mesi del 1946 ai primi mesi del '52 avrebbe gestito direttamente i rapporti tra Vaticano, Croce Rossa, Auxilium e Comitato nazionale emigrazione in Argentina. In Croazia era stato parroco di Ogulin e cappellano di un reggimento ustascia. Fuggito nel '45, passò prima a Trieste e poi a Milano, presso il cardinale Shuster, che lo avrebbe inviato a Genova, raccomandandolo a Siri con questo biglietto, il cui contenuto è stato rivelato il 2 agosto dal "Secolo XIX": "Eccellenza reverendissima, don Carlo ha conoscenza, in lingua e in cultura, della situazione dei rifugiati e dei profughi di guerra dell'Est e della Germania. Per questo è persona che può sostenere l'opera di carità dell'Auxilium". A Genova Petranovic, racconta "Il Secolo XIX" (4/8), "dipendeva direttamente dalla Curia genovese" e si occupava di fare "la spola tra Auxilium e Comitato nazionale per l'emigrazione in Argentina. Ha il diritto di usare la Mercedes nera, con targa diplomatica della Città del Vaticano, di Siri; viaggia spesso, di notte, tra Genova e Roma, e ritorna, sempre di notte, portando una 'valigia diplomatica'. Contiene i passaporti per una nuova vita dei nazisti in fuga" (2/8). Petranovic, che si allontanò da Genova nella primavera del '52, oggi ha 83 anni e vive in Canada, in una zona al confine con gli Stati Uniti, ospite di una comunità di suore.


A Genova operava un altro sacerdote. Era don Edoardo Dömöter, francescano di origine ungherese, divenuto, alla fine degli anni '50, parroco della chiesa di Sant'Antonio di Pegli. Secondo quanto riportato dal "Secolo", Goñi ha rintracciato negli archivi del Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra una richiesta, la numero 100940, sottoscritta e inoltrata da padre Dömöter alla sede genovese della Croce Rossa di passaporto per tale Riccardo Klement, in realtà Adolf Eichmann.
A fare da spola tra Genova e Roma, tra un ufficio aperto in Albaro dalla delegazione argentina e gli uffici romani della Croce Rossa per procurare documenti falsi, c'era, infine, don Krunoslav Stjepan Draganovic, che per Giovanni Maria Pace era un "ex colonnello ustascia" ("Repubblica", 24/2/2000), e che fu fondatore della Confraternita Croata del Collegio di San Girolamo degli Illirici


È lui che ha firmato il passaporto rilasciato dalla sede genovese della Croce Rossa il 16 marzo del 1951 intestato a Klaus Altmann, meccanico di origine tedesca in procinto di imbarcarsi sul piroscafo "Corrientes" alla volta di Buenos Aires, sotto la cui falsa identità si nascondeva Klaus Barbie. Il documento originale, racconta il 27 agosto "Il Secolo XIX", fu trovato da Uki Goñi nella sede ginevrina del comitato internazionale della Croce Rossa.
Sull'attività di Draganovic a favore dei criminali di guerra il 28/8 "Il Secolo XIX" ha pubblicato il testo di un rapporto del Foreign Office inglese nel quale si dice che il prete, definito "la mente che sta dietro l'organizzazione ustascia in Italia", interveniva "ripetutamente e vigorosamente al quartier generale della Croce Rossa Internazionale di Roma" nel tentativo "di influenzare la graduatoria di profughi croati che si stanno prendendo in considerazione per l'assistenza". "L'influenza della Confraternita di San Girolamo sui campi profughi - dice il rapporto (che cita anche Petranovic come "persona che con ogni probabilità coincide con il collaborazionista croato ricercato P. 993") - sta aumentando sempre più e pare che al dottor Draganovic siano stati accordati strumenti e mezzi di natura ufficiosa che gli consentono di recarsi di persona ai campi per consultare i vari leader ustascia".


La rete di ecclesiastici impegnati nel facilitare la fuga di nazisti e fascisti secondo le ricostruzioni fatte dal Goñi e riferite dal "Secolo XIX" facevano capo, a Roma, a mons. Alois Hudal, rettore fino al '52 del Collegio tedesco di S. Maria dell'Anima, e vescovo con manifeste simpatie naziste che da Roma inviava le richieste di visti. Racconta "Il Secolo XIX": "Nella relazione conclusiva presentata dal Ceana nel 1999 si fa riferimento in particolare a una lettera del 31 agosto 1948 in cui il vescovo Hudal spiega a Peron che i visti richiesti non sono per profughi ma 'per combattenti anticomunisti il sacrificio dei quali durante la guerra ha salvato l'Europa dalla dominazione sovietica'".


Su tutto quanto denunciato dal quotidiano genovese, ad agosto sia il vicepresidente della Camera Alfredo Biondi che il senatore diessino Aleandro Longhi hanno chiesto la creazione di una commissione parlamentare di inchiesta.






Dal sito storian.net



La fuga dei criminali nazisti e ustascia in Sudamerica fu agevolata da organizzazioni cattoliche. Con la Guerra Fredda i nemici di ieri diventavano gli alleati di oggi.



"Ratline", il patto con il demonio



di RENZO PATERNOSTER



Questa è una storia sporca con un'altrettanto sporca morale. Una storia in cui le vittime sono state uccise due volte, perdendo ancora. Mentre molti carnefici hanno vinto ancora, ottenendo la possibilità di una nuova vita. Con la scusa di combattere il comunismo molti criminali sono stati "perdonati", passando da nemici di ieri ad amici di oggi.


Un romanzo di Frederick Forsyth, Dossier Odessa, racconta di un gruppo di membri delle SS che, in previsione della sconfitta, si erano raccolti in un'organizzazione segreta chiamata O.D.E.SS.A., acronimo di Organisation der Ehemaligen SS-Angehorigen ("Organizzazione degli ex-membri delle SS").


Questo organismo aveva il triplice scopo di salvare i camerati dalle forche degli Alleati, esportare gli ingenti capitali che molti ufficiali tedeschi avevano accumulato negli anni del nazismo (soprattutto quelli proveniente dalla confisca di beni, preziosi e quant'altro ai deportati nei campi di sterminio) e creare un Quarto Reich che completasse l'opera di Hitler.
Per quanto romanzesca sia la trama inventata da Forsyth, il suo racconto però si avvicina in modo inquietante alla realtà. Infatti, già a due mesi dalla fine della guerra, furono approntati i primi piani di fuga per i dirigenti nazisti: il ministro dell'Interno del Reich e comandante delle Schutzstaffel (le famigerate SS) Heinrich Luitpold Himmler, quando vide che tutto era perduto, diede vita all'operazione Außenweg, affidandone la direzione al giovane capitano delle SS Carlos Fuldner.
Alöis Hudal
Non solo Odessa è quindi esistita davvero, ma il cuore e il cervello dell'intera operazione era a Roma nel cuore del Vaticano. Attraverso la cosiddetta "Via dei Monasteri" (detta anche ratline o Rattenlinien ovvero la "via dei ratti"), la Chiesa cattolica non fu solo complice dell'operazione, ma protagonista indiscussa a vari livelli: i suoi vertici furono i cardinali Eugène Tisserant e Antonio Caggiano (francese il primo e argentino il secondo), mentre la dimensione operativa fu curata da una pattuglia di alti prelati, tra cui il futuro cardinale genovese Giuseppe Siri, il vescovo austriaco Alöis Hudal, parroco della chiesa di Santa Maria dell'Anima in via della Pace a Roma e guida spirituale della comunità tedesca in Italia, il vescovo argentino Augustín Barrère, il sacerdote croato Krunoslav Draganovic, il francescano ungherese della parrocchia di Sant'Antonio di Pegli a Genova, Edoardo Dömoter, padre Carlo Petranovic, il sacerdote pallottino Antonio Weber e molti uomini che facevano parte dell' "Entità", il servizio segreto del Vaticano. Monsignor Montini (il futuro papa Paolo VI) era a conoscenza della cosiddetta "Via dei Monasteri" (secondo alcuni storici il futuro Paolo VI fu, assieme a Tisserant e Caggiano, uno dei "progettisti" della via di fuga dei criminali nazisti).

La fuga verso "porti sicuri", non riguardò unicamente i criminali di guerra tedeschi, ma anche molti ustascia (termine che in croato significa "insorgere", "risvegliare" e che è utilizzato per designare gli appartenenti al movimento cattolico-nazionalista croato di estrema destra che si opponeva a un regno di Jugoslavia federativo) e gerarchi italiani.
Questi ultimi, come Cesare Maria De Vecchi e Luigi Federzoni, espatriarono quando ancora erano ricercati dalla giustizia, grazie ai documenti falsi e alla protezione dei salesiani.
Più eclatanti sono invece le protezioni garantite agli ustascia. Si trattava di criminali che, per conseguire il risultato di uno Stato (la Croazia) razzialmente puro e cattolico al 100%, non avevano esitato a compiere fucilazioni di massa, decapitazioni, bastonature a morte, suscitando orrore perfino negli alleati nazisti.

Alla fine della guerra circa settecentomila persone erano morte nei campi di sterminio ustascia a Jasenovac e altrove: le vittime appartenevano soprattutto alla popolazione serba ortodossa, ma nell'elenco figuravano anche moltissimi ebrei e zingari.
Il principale teorico del regime croato, Ivo Gubernina, era un sacerdote cattolico romano che predicava la "purificazione religiosa" e l'"igiene razziale" per fare della Croazia una "terra ripulita da elementi considerati estranei".


Molti ustascia, a iniziare dal dittatore fantoccio Ante Pavelic, beneficiarono dell'aiuto della Chiesa di Roma. Pavelic fu nascosto fino a maggio del 1946 nel Collegio Pio Pontificio, quindi trasferito in un edificio del complesso di Castelgandolfo, residenza estiva dei pontefici, dove quasi ogni settimana si riuniva con il cardinale Montini. Nel dicembre del 1946, il leader degli ustascia si rifugiò nel convento di San Girolamo, per poi trasferirsi a Genova. Qui, mentre si stava imbarcando per l'Argentina fu intercettato dai servizi segreti statunitensi e riuscì a nascondersi nel monastero di Santa Sabina. L'11 ottobre 1948 il criminale ustascia riuscì ad imbarcarsi per l'Argentina sulla nave Sestriere, in cabina di prima classe: aveva con se il passaporto della Croce Rossa numero 74369 a nome di Pal Aranyos, un ingegnere ungherese. Lo scortarono due agenti dell'Entità, restando con lui come guardie del corpo per ben due anni.

San Girolamo degli Illirici a Roma

Tra i più noti criminali di guerra fuggiti in Sud America attraverso la Ratline, ricordiamo anche Adolf Eichmann (l'organizzatore della soluzione finale degli ebrei), Josef Mengele (medico autore di efferati esperimenti nel campo di Auschwitz), Heinrich Müller (capo della Gestapo), Richard Glücks (ispettore dei campi di concentramento), Klaus Barbie (comandante della Gestapo a Lione), Erich Priebke (coinvolto nell'eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma), Gerhard Bohne (responsabile del programma di eutanasia per lo sterminio degli handicappati fisici e mentali), Bilanovic Sakic (responsabile del campo di concentramento croato di Jasenovac), Franz Stangl (comandante del campo di concentramento di Treblinka), Walter Rauff (l'inventore dei camion-camera a gas), Edward Roschmann (l'ex comandante del ghetto di Riga), Josef Schwammberger (comandante altoatesino del ghetto di Przemsy), Herman von Alvensleben (responsabile in Polonia della morte di almeno ottantamila persone), Carl Vaernet (medico danese inventore, a suo dire, della "inversione della polarità ormonale", che poteva dare una soluzione al problema dell'omosessualità). A loro si aggiunsero anche criminali di guerra o collaborazionisti francesi del rango di Marcel Boucher, Fernand de Menou, Robert Pincemin ed Emile Dewoitine.
Il dottor Menghele
Molti beneficiarono dell'esilio in Sudamerica. Si trattò nella maggior parte di "manovali" dell'Olocausto e della guerra sporca di Hitler. Tutti iniziarono nella nuova patria una vita tranquilla, col beneplacito dei regimi di destra latinoamericani, soprattutto dell'esordiente regime peronista, ma anche col viatico di Washington.

Molti sono gli studi su questa vicenda, come molti sono i documenti che comprovano le solidarietà e le complicità nella fuga dei criminali di guerra. Come il rapporto finale della Comisiòn para el Esclarecimiento de las Actividades del Nazismo en la Argentina (Ceana), costituita a suo tempo presso il Ministero degli Affari Esteri dal presidente argentino Menem e di cui è stato coordinatore scientifico lo storico Ignacio Klich dell'università di Westminster in Gran Bretagna.

L'organizzazione Odessa progettò minuziosi piani di fuga, tracciando tre itinerari principali: il primo partiva da Monaco di Baviera e si collegava a Salisburgo per approdare a Madrid; gli altri due percorsi partivano da Monaco e, via Strasburgo o attraverso il Tirolo, giungevano a Genova (il terminale ove operava l'arcivescovo Giuseppe Siri), dove i gerarchi potevano imbarcarsi verso l'Egitto, il Libano, la Siria, il Sudamerica.


Le vie di fuga convergevano sempre verso Memmingen, un'antica cittadina tra la Baviera e il Württemberg, per poi dirigere su Innsbruck ed entrare in Italia attraverso il valico del Brennero. Gli spostamenti tra Germania meridionale, Austria, Tirolo e Italia settentrionale si svolgevano in grande sicurezza a tappe di circa cinquanta chilometri, a ognuna delle quali corrispondeva una "stazione" gestita da tre-cinque persone che conoscevano solo la stazione precedente e quella successiva.


Il corridoio vaticano comprendeva due vie di fuga: Svizzera-Francia-Spagna-Gibilterra-Marocco-Sudamerica; Svizzera-San Girolamo-Genova-Sudamerica. Il primo fu praticato specialmente dai nazisti e da tutti i collaborazionisti del regime di Hitler, il secondo principalmente dagli ustascia che, prima di fuggire, trovarono sicuro alloggio presso il convento di San Girolamo, un monastero croato in via Tomacelli a Roma.
Come abbiamo visto, il capitano delle SS Carlos Fuldner fu scelto dal Reichsführer delle Schutzstaffel Himmler per coordinare la fuga dei nazisti dalla Germania. L'attività di Fuldner fu frenetica. Egli stabilì contatti a tutto campo per portare a conclusione gli ordini del suo superiore. Il primo contatto permise a Fuldner di ottenere il sostegno dell'allora ministro svizzero di giustizia, Eduard von Steiger, e del capo della polizia Heinrich Rothmund. In questo modo fu allestita alla Markgasse 49 di Berna la "filiale" svizzera di Odessa.
L'altro contatto Fuldner lo ebbe con il vescovo argentino Antonio Caggiano, che portò alla nascita della cosiddetta "Via dei Monasteri". Il capitano nazista incontrò per la prima volta l'alto prelato a Madrid, nel ristorante Horcher in via Alfonso XIII. Caggiano era accompagnato da due uomini dell'Entità (il servizio segreto vaticano), di cui solo di uno si conosce il nome, Stefan Guisan.

Nel 1946 il cardinale Caggiano si recò in Vaticano offrendo alla Segreteria di Stato, a nome del governo di Buenos Aires, la disponibilità del Paese sudamericano a ricevere ex nazisti "perseguitati" dagli Alleati.

Nel frattempo il capitano Carlos Fuldner, che aveva passaporto argentino, divenne direttore della Daie, la "Dirección Argentina de Immigración Europea", con sede a Genova in via Albaro. La Daie divenne il terminale europeo della "via dei topi".
L'ufficio genovese della Daie faceva pervenire a Buenos Aires l'elenco delle persone da ospitare. A Buenos Aires le pratiche erano sbrigate dalla "Sociedad Argentina de Recepción de Europeos" (Sare), fondata nel maggio del 1947 da Pierre Daye, un criminale di guerra belga in stretti rapporti con Peron e con l'arcivescovado argentino.


L'interessamento di Peron e della Chiesa argentina era così alto, che le primissime riunioni della Sociedad si tennero alla "Casa Rosada", mentre la prima sede della Sare si trovava in un vecchio palazzo di proprietà della curia di Buenos Aires, in via Canning.
Ottenuti da Fuldner gli elenchi dei nazisti da far fuggire, la Sare spediva a Genova i visti d'ingresso, completi delle foto dei criminali ma intestate a nomi fittizi. Da Genova, la pratica passava a Roma, dove la sede della Croce Rossa rilasciava i passaporti relativi ai nomi falsi, rispedendoli a Genova. Fatto ciò, bastava trovare posto per i fuggitivi sulla prima nave per l'America Latina.

Il cardinale Giuseppe Siri (eletto vescovo ausiliare di Genova l'11 marzo 1944, e arcivescovo della stessa città il 14 maggio 1946) fu coinvolto direttamente in questi progetti di fuga. Fu tramite due associazioni, entrambe da lui fondate, che la Curia genovese possedeva per l'assistenza ai profughi, che l'arcivescovado di Genova diede assistenza alla rete di fuga.

Il diretto coinvolgimento di monsignor Siri trova conferma non solo nelle risultanze della "Comisión para el Esclarecimiento de las Actividades del Nazismo en la Argentina", costituita dal presidente argentino Menem nel 1997, ma anche in una nota del "Counter Intelligence Corps" (servizio segreto militare statunitense), dove si afferma che Siri dirigeva "una organizzazione internazionale il cui scopo era favorire l'emigrazione di europei anticomunisti in Sudamerica [.]. Questa classificazione di anticomunista deve estendersi a tutte le persone politicamente impegnati contro i comunisti, ovvero fascisti, ustascia, e altri gruppi simili".

Le due associazioni che facevano capo all'arcivescovado di Genova erano la "Auxilium", fondata nel 1931 come ente di assistenza e beneficenza, e il "Comitato Nazionale Emigrazione in Argentina", impiantato invece nel 1946. Anche la Pontificia Commissione di Assistenza aveva un ufficio nella stazione ferroviaria della città (Porta Principe).
Un importante centro di accoglienza della struttura gestita da Siri fu la chiesa genovese di San Teodoro, ove molti fuggiaschi sostarono e ricevettero cibo, assistenza, documenti per imbarcarsi sulle navi della salvezza. Il parroco di San Teodoro, Bruno Venturelli, fu ringraziato per il suo operato da William Guyedan, ex ministro francese del governo di Vichy condannato per collaborazionismo.

Importante pedina del canale genovese per la fuga degli ustascia fu padre Karl Petranovic: dai primi mesi del 1946 fino all'inizio del 1952 avrebbe gestito direttamente i rapporti tra Vaticano, Croce Rossa, Auxilium e "Comitato Nazionale Emigrazione in Argentina". Petranovic, già cappellano ustascia, fuggì nel 1945 rifugiandosi a Milano. Da questa città passò a Genova, con tanto di "raccomandazione scritta" da parte del cardinale Shuster: "Eccellenza reverendissima - si legge nel biglietto rivelato il 2 agosto 2003 dal "Secolo XIX" - don Carlo ha conoscenza, in lingua e in cultura, della situazione dei rifugiati e dei profughi di guerra dell'Est e della Germania. Per questo è persona che può sostenere l'opera di carità dell'Auxilium". Petranovic si occupò di prelevare da Roma i passaporti per una nuova vita dei nazisti in fuga. Egli stesso, a sua volta, fuggì in Canada, a Niagara Falls, ospite di una comunità di suore. L'8 giugno 1988, padre Petranovic ottenne anche il titolo di monsignore.
A Genova operava anche un altro sacerdote: don Edoardo Dömöter, francescano di origine ungherese, divenuto, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, parroco della chiesa di Sant'Antonio di Pegli. Negli archivi del Comitato Internazionale della Croce Rossa di Ginevra esiste una richiesta, la numero 100940, sottoscritta e inoltrata da padre Dömöter alla sede genovese della Croce Rossa per un passaporto intestato a tale Riccardo Klement, in realtà Adolf Eichmann.
Adolf Eichmann

A tenere i collegamenti tra nazisti e Vaticano furono Fuldner e padre Krunoslav Draganovic. Quest'ultimo, oltre ad essere segretario della Confraternita romana di San Girolamo, era anche "Visitator apostolico" per l'assistenza pontificia ai croati, cioè un funzionario della segreteria di Stato del Vaticano che dipendeva direttamente da monsignor Montini. Draganovic visitava ufficialmente i campi dei prigionieri di guerra e come Visitator apostolico era riconosciuto come rappresentante della Santa Sede dalle autorità alleate.

Fuldner e Draganovic, si servirono a loro volta di Reinhard Kops, da parte tedesca, e di Gino Monti di Valsassina (nobile italiano di origine croata), da parte vaticana. Reinhard Kops usava il nome fittizio di Hans Raschenbach e un passaporto falso fornito dall'Entità vaticana.
Fu proprio don Krunoslav Stjepan Draganovic ha firmare il passaporto, rilasciato il 16 marzo del 1951 dalla sede genovese della Croce Rossa, a Klaus Altmann, meccanico d'origine tedesca in procinto di imbarcarsi sul piroscafo Corrientes alla volta di Buenos Aires; dietro questa identità si nascondeva Klaus Barbie.

Tra le altre persone "difese" da Draganovic figurano gli ex-ministri del governo ustascia Dragutin Toth, Vjekoslav Vrancic, Mile Starcevic e Stjiepo Peric, così come l'ex-capo dell'aviazione Vladimir Kren. Alcuni di loro si nascondevano all'interno dell'Istituto di San Girolamo o in Vaticano.

Il terminale austriaco di Draganovic fu padre Vilim Cecelja, già collaboratore del regime di Ante Pavelic durante la guerra e schedato dal governo di Tito come criminale di guerra numero 7103. Cecelja fu il sacerdote che officiò la cerimonia del giuramento di Pavelic, impartendo così la benedizione della Chiesa al regime fantoccio dei nazisti. Provvisto di documenti americani e della Croce Rossa, Cecelja potè svolgere il suo compito viaggiando liberamente nella zona di occupazione statunitense.


La rete di ecclesiastici impegnati nel facilitare la fuga di nazisti e fascisti faceva capo, a Roma, a monsignor Alois Hudal, rettore fino al 1952 del Pontificio Collegio di Santa Maria dell'Anima.


Nella relazione conclusiva presentata dalla Comisiòn para el Esclarecimiento de las Actividades del Nazismo en la Argentina nel 1999, le responsabilità di padre Hudal sono lampanti. In una lettera del 31 agosto 1948 il vescovo Hudal spiega a Peron che i visti richiesti non sono per profughi ma "per combattenti anticomunisti il sacrificio dei quali durante la guerra ha salvato l'Europa dalla dominazione sovietica".


A Roma il vescovo Alois Hudal si servì di monsignor Heinemann e del sacerdote Karl Bayer: il primo era incaricato di esaudire le richieste dei nazisti rifugiati a Santa Maria dell'Anima, l'altro proteggeva e assisteva i criminali nazifascisti in fuga. Quest'ultimo era stato un paracadutista dell'esercito hitleriano, poi imprigionato nel campo di Ghedi, vicino Brescia, e fatto fuggire grazie all'aiuto di Draganovic. Divenuto membro del clero cattolico, fu inserito all'interno dell'organizzazione ecclesiastica che assisteva i criminali nazifascisti in fuga, procurando loro falsi documenti, denaro, cibo, lettere, alloggi.
Karl Bayer ammise (nel libro di Gitta Sereny, In quelle tenebre, Adelphi, Milano, 2005) che papa Pio XII forniva denaro per aiutare i nazisti in fuga, "a volte col contagocce, ma comunque arrivava".

Un altro piccolo pezzo dell'ingranaggio che permise la fuga dei nazisti fu la ricca ereditiera Margherite d'Andurain, che aveva stretti contatti in Vaticano attraverso il nunzio a Parigi e con il vescovo austriaco Alois Hudal. Proprietaria di uno yatch, il Djeilan, la d'Andurain attraversava regolarmente lo stretto di Gibilterra sino a Tangeri. Il 5 novembre 1948 il suo corpo senza vita fu ritrovato nella baia di Tangeri.

Nel Catechismo della Chiesa cattolica (Parte Terza - Sezione Prima - Capitolo Primo - Articolo 8 - V. La proliferazione del peccato - 1868) si dichiara: "Il peccato è un atto personale. Inoltre, abbiamo una responsabilità nei peccati commessi dagli altri, quando 'vi cooperiamo': prendendovi parte direttamente e volontariamente; comandandoli, consigliandoli, lodandoli o approvandoli; non denunciandoli o non impedendoli, quando si è tenuti a farlo; proteggendo coloro che commettono il male".
Aiutare criminali a sottrarsi alla giustizia è dunque per la Chiesa un crimine altrettanto grave, che prevede la colpa di chi vi è coinvolto in prima persona e la responsabilità morale di chi lo approva.


L'autodifesa della Chiesa cattolica è sempre consistita nel negare di conoscere l'identità di tali criminali e di voler in ogni caso assicurare assistenza a chiunque. Ma questo, come abbiamo visto, non è proprio vero. Infatti, se non mancarono nella Chiesa "complici" solo per malinteso spirito di carità cristiana (come traspare da diari e testimonianze di alcuni rettori di conventi che, pur conoscendo le "gesta" di alcuni criminali, diedero loro ugualmente rifugio), altri furono favoreggiatori veri e propri, diventando correi per i crimini contro l'umanità.


Anche se molti uomini della Chiesa di Roma, attraverso atteggiamenti ambigui, complicità e vere e proprie attività di copertura e aiuto si sono macchiati di complicità coi nazisti, questo non vuol dire che tutta la Chiesa è criminale [ma i vertici sì, ndr]. Certamente queste complicità sono responsabilità che, oltre ad essere meritevoli della punizione divina (e su questo non ho dubbi!), conseguirebbero anche quella degli uomini. Ma quest'ultima, purtroppo, non c'è stata!



BIBLIOGRAFIA

  • Ratlines, di M. Aarons M. e J. Loftus - Newton & Compton, Roma, 1993
  • Organizzazione ODESSA, di J. Camarasa - Mursia, Milano, 1998
  • Giustizia, non vendetta, di S. Wiesenthal - Mondadori, Milano, 1989
  • La via dei demoni, di G. M. Pace - Sperling & Kupfer, Milano 2000
  • La chiesa cattolica e l'olocausto, di M. Phayer - Newton & Compton, Roma 2001
  • "Dio è con noi!", di M. A. Rivelli - Kaos, Milano, 2002
  • Una questione morale. La chiesa cattolica e l'olocausto, di D. J. Goldhagen - Mondadori, Milano, 2003
  • Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l'Argentina di Perón, di U. Goñi Uki - Garzanti, Milano, 2003
  • I nazisti che hanno vinto. Le brillanti carriere delle SS nel dopoguerra, di F. Calvi - Piemme, Casale Monferrato, 2007
  • La fuga dei nazisti. Mengele, Eichmann, Priebke, Pavelic da Genova all'impunità, di A. Casazza - Il Nuovo Melangolo, Genova, 2007
  • Oltremare sud. La fuga in sommergibile di più di 50 gerarchi nazisti, di J. Salinas J. e C. De Napoli - Tropea, Milano, 2007
  • The Vatican Files, - sito web: http://www.vaticanfiles.net/default_eng.htm



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Ratlines: I Criminali Nazisti Salvati dal Vaticano